Luoghi e pratiche del lavoro contemporaneo

 

Questa esposizione fotografica mostra un itinerario di esplorazione tra i paesaggi della produzione e del lavoro che raccoglie diverse esperienze di indagine compiute da Paolo Mazzo. 

Spazi dismessi mostrano il carattere di rovine contemporanee immobili entro una sospensione temporale, articolando al proprio interno paesaggi muti che segnano la forma di processi congelati nella memoria. 

All’interno degli spazi produttivi in azione, differenti relazioni tra uomo, macchina e sempre più presenti processi digitali di automazione evidenziano nuove dimensioni etiche ed estetiche del lavoro, comportando mutazioni di figure e competenze.

Nella consistenza dello spazio fisico e materiale, I luoghi del lavoro emergono come strutture in grado di segnare la propria presenza a scala territoriale, ma capaci di organizzare al proprio interno sguardi attenti e gesti pensati impegnati nei ritmi quotidiani di produzione.

Se lo spazio e i dispositivi di produzione costituiscono una infrastruttura di supporto a pratiche diversificate, al centro dell’attenzione è l’uomo come parte di un processo di transizione delle forme del lavoro che può condurre a una nuova geografia dei ruoli e delle relazioni.

 

Paolo Mazzo

Fotografo professionista dal 1993 realizza immagini per l'architettura, l'industria e il paesaggio urbano. Autore di progetti fotografici a sfondo sociale o urbano, ha prodotto, tra gli altri, lavori sulla rigenerazione culturale di una dimenticata città mineraria (Arsia, Croatia); sul popolo profugo Sahrawi in Algeria (“Voci distanti dal Mare”, Napoli 1998; “Il Coraggio di essere un popolo”, Reggio Emilia 2002), o “Polvere di stelle” che guarda alla profonda ferita delle vittime dell'amianto a Monfalcone; oltre all'analisi urbanistica della città in cui ha a lungo vissuto (in F. Oliva, L'urbanistica di Milano, Hoepli editore, Milano 2002; e A. Arcidiacono, L. Pogliani (a cura di), Milano al futuro, et al./edizioni, Milano 2011). Il suo progetto Company Town, è stato esposto a Londra, dove viene analizzato lo sviluppo e la genesi di città cresciute attorno a importanti insediamenti produttivi (p.e. Zlin in Repubblica Ceca, Batovany in Slovaccchia , Nowa Huta in Polonia, e Hunedoara in Romania), o il lavoro sulla ex città mineraria di Anina (Romania), premiato alla biennale rumena di architettura del 2018 come miglior progetto per far diventare patrimonio il recupero della memoria di un ex sito industriale e inserito nel programma del festival di Castelnuovo nel 2019 dove è stato esposto con la direzione artistica di Elisabetta Portoghese e il comitato scientifico composto da Michela Becchis, Manuela De Leonardis e Simona Filippini. Dal 2002 collabora con gli atelier del primo e del sesto anno all’Accademia di Architettura di Mendrisio ed è stato dal 2007 al 2011 coordinatore della ISSI, l’international Summer School di Ivrea, che si occupa dei temi della città di Olivetti in trasformazione. Ha tenuto lezioni e workshop allo IUAV, al Politecnico di Milano e di Torino e alla scuola di fotografia di Milano cfp Bauer – ex Umanitaria. Ha vinto il premio “Marco Bastianelli-Opera Prima“ nel 2010 con il lavoro “Radici di ferro”, un progetto sul primo insediamento delle acciaierie Falck a Dongo (Como). Ha pubblicato nel 2019 con l'AASO (Associazione Archivio Storico Olivetti) il libro “Le case Olivetti a Ivrea: il lavoro dell’Arch. Tarpino e dell’Ufficio Consulenza Case Dipendenti” per l'editore Il Mulino (oggetto di una mostra all'interno del festival di architettura di Ivrea con la cura dell'AASO); nel 2020 esce un libro sulla villa palladiana di Caldogno edito da Bononia University Press con la cura di Gabriele Cappellato.